Dal 9 maggio all’11 maggio, si terrà presso la Casa Internazionale delle Donne a Roma (ingresso, da via di S. Francesco di Sales), “Love, art and poetry” una rassegna di arti visive che vedrà confrontarsi fotografi, pittrici, poeti e artigiani sul tema dell’amore, con la proposta di opere inedite. L’evento prevede tre sezioni: la prima espositiva si concentra sulle opere del fotografo Vincenzo Palladio e delle pittrici Deborah Bedussa e Giada Rotundo.
La seconda sezione accoglierà giovani poeti e poetesse tra cui : Vito Sabino, Marco Margheriti,Claudia Caldarone, Francesco Chiappetta e Davide Olivieri, invitati a scrivere alcuni versi estemporanei su porzioni di fogli che andranno ad occupare lo spazio della galleria. Le poesie o i singoli versi potranno essere acquistati dal pubblico a partire dal prezzo simbolico di un euro a parola/ a verso.
L’ultima parte della mostra è dedicata alla promozione dei lavori di artisti artigiani che durante l’evento proporranno in vendita le proprie creazioni.
La scelta di inaugurare l’evento il 9 maggio, giorno successivo alla Festa della Mamma, racchiude in sé una parte essenziale dell’intero progetto espositivo: l’amore. Partendo dall’amore materno si è passati ad una serie di considerazioni più ampie sul significato che attribuiamo a questa parola. Tutti gli artisti invitati proporranno una personale visione dell’arte e dell’amore attraverso canali espressivi e strumenti diversi. L’idea di vendere i prodotti artistici è legata al concetto di mercificazione delle opere d’arte. Lasciando da parte le critiche al sistema capitalista, l’evento parodizza con una certa ironia questo aspetto del mercato dell’arte. Le poesie vengono vendute come la pizza al taglio e gli artisti artigiani allestiscono i loro banchetti come se fossero ad un mercato rionale. Tuttavia, l’identità di fondo dell’opera d’arte non muta poiché mossa dall’amore e in tal modo i versi e i prodotti artigianali diventano dei beni di prima necessità e quindi alla portata di tutti.
ARTISTI
Deborah Bedussa
L’artista autodidatta Deborah Bedussa debutta in quest’occasione con una serie di lavori recenti che rappresentano in modo chiaro la sua cifra stilistica. La densità dei colori acrilico e l’espressività del segno del pennello creano un connubio di informale armonia.
“Ho sempre amato disegnare, ma non sapevo come fare a rompere gli schemi, a cancellare i puntini dalle i, a disegnare un’emozione quando io per prima non sapevo riconoscerla.
Sono Deborah classe 83, a bordo del mio rollercoster ho imparato a [Ri] conoscermi e ad amarmi.
In ogni quadro c’è l’unicità di un amozione, quelle vibrazioni autentiche che ciascuno di noi ha dentro di se.”
Vincenzo Palladio
Vincenzo Palladio, nasce ad Andria e scopre la fotografia analogica all’età di 13 anni grazie a suo nonno, fotografo rinomato della sua città natale. La sua influenza è onnipresente sebbene ci sia nei confronti di essa un misto di curiosità e reverenza. Con il tempo la lente fotografica, dopo diversi collaudi in differenti ambiti artistici, diventa il mezzo prediletto per catturare il suo modo di percepire ciò che lo circonda, dalle persone a se stesso allo spazio e alla sua immensa geometria comunicativa,per conoscersi e soprattutto conoscere.
In Mostra Vincenzo porta un’indagine introspettiva circa il rapporto conflittuale ed erotico con il proprio Se e con chi quest’ultimo decide di entrare in relazione.I corpi esposti alludono a sussurrati ricordi di tenerezza e sentimenti, bloccati nel presente dall’onnipresenza del tempo e dello spazio. Si predilige il bianco e nero in quanto unico mezzo espressivo della drammatica necessità di relazione che è alla base del processo fotografico, le contraddizioni dei soggetti e l’ambiguità relazionale che si crea tra fotografo e modella. Tutto è pregno di un io materico e presente ma allo stesso tempo assente, ancorato alla vita e alle sue pulsioni ma teso verso il non essere e la morte in uno spazio non identificato, un tempio accuratamente e fastosamente sconsacrato dove ogni punto è nodale, inaugura e sigilla.
Giada Rotundo
Giada lavora e vive a Milano, Nel 2017 conclude i suoi studi all’ accademia di Brera e dopo un breve periodo in cui lavora principalmente rielaborando immagini tratte dall’ arte ottocentesca e del novecento cambia direzione; Giada rinuncia ad avere una poetica che percepisce come una limitazione, I suoi lavori dunque non seguono una specifica tendenza, pur rimando nell ambito del figurativo, ma si prestano totalmente all’interpretazione dello spettatore.
L’estetica proposta è effettivamente molto accattivante e si presta a molteplici interpretazioni.
Uno sguardo su un mondo fatto di volti e corpi femminili dal volto spesso coperto, come a voler celare una femminilità che rimane comunque prorompente e inarrestabile. La potenza dei lavori di Giada è sicuramente nella scelta dei colori che estraniano l’osservatore dal realismo e lo trascinano nella potenza dell’immagine in sé dunque è lo spettatore a fare l’opera e a darle la sua connotazione finale.