Noi siamo la cura
Non c’è più tempo. Per il pianeta, per il nostro mondo, per le nostre vite. Noi siamo la cura.
Il Covid ha svelato verità ed evidenze finora nascoste o rimosse, che sono invece le cause drammatiche delle conseguenze dell’epidemia. Un pianeta sempre più malato, un mondo sempre più ingiusto, vite sempre più faticose.
Per la prima volta milioni e milioni di donne e di uomini hanno contemporaneamente condiviso paure, angosce, dolore, isolamento, solitudine. E’ esplosa la fragilità dei corpi e delle nostre vite, l’interdipendenza delle relazioni, i bisogni della cura del vivere. Questa esperienza collettiva oggi non trova significato.
Continuano le inerzie delle vecchie idee, restano indiscussi i modelli che hanno dimostrato il fallimento, che hanno prodotto sempre più povertà, precarietà, ininfluenza degli investimenti e delle politiche pubbliche, ingordigia del mercato, che occupa i bisogni primari trasformandoli in prestazioni da consumare. Si ripetono stereotipi, che accettano la divisione sessuale del lavoro come ordine naturale, lasciando le donne senza libertà. E ancora persiste l’arrogante illusione che la fase dell’emergenza passerà e si tornerà alla fine alla normalità.
Ma il Covid smentisce ogni continuismo, rimettendo al centro i bisogni della cura, dell’altro, di noi stesse, delle condizioni della vita, della natura e della democrazia, dichiarandoli definitivamente non compatibili con l’interesse di un’economia del profitto. Torna ineludibile il tema della cura intesa nel suo significato politico, come paradigma capace di orientare il cambiamento, per un’altra visione del mondo, della società, delle relazioni umane. Solo se la mutazione sarà radicale, il disvelamento culturale del valore della cura sul piano dei diritti e delle libertà sarà un moltiplicatore.
Per questo, proprio mentre in Europa si aprono scenari del tutto inediti e per la prima volta si rompe il tabù dell’austerità, la tirannia delle compatibilità finanziarie e dei pareggi di bilancio, mentre anche per il nostro paese si delinea l’occasione irripetibile di utilizzare le enormi risorse del Recovery Fund, noi diciamo: “Noi siamo la cura”.
Non siamo una categoria, non siamo un capitoletto delle politiche di inclusione nelle Linee Guida del Recovery Fund. Non possiamo neppure essere valorizzate solo nel capitolo della “crescita demografica”. O della violenza contro le donne.
Noi siamo la cura.
Siamo state protagoniste nel lockdown ma oggi siamo le più penalizzate dalla crisi, perdiamo il lavoro molto più degli uomini e persino non lo cerchiamo neppure più. Nonostante la retorica di quei mesi, siamo state accantonate, anzi rifunzionalizzate come compensazione strutturale alla mancanza dei servizi pubblici essenziali alla vita. La scuola, diritto dei bambini e delle bambine all’educazione e alla cittadinanza, è ancora pensata dai molti come strumento di conciliazione per il lavoro delle donne. E invece di investire sulle infrastrutture sociali, dove tra l’altro l’occupazione femminile è prevalente, ancora nel piano di ripresa del paese le priorità restano le altre infrastrutture, quelle delle autostrade e dell’alta velocità. Mentre l’obiettivo è la modernizzazione non fa scandalo che il nostro paese su 153 paesi valutati sia ancora al 76° posto per politiche di genere e al 125° per Pay Gender Gap.
Noi siamo la cura, perché siamo consapevoli che riproduzione sociale e produzione economica sono ambiti interconnessi e che vanno ribaltate le gerarchie di valori e priorità. Rimettere al centro la cura comporta riallineare gli obiettivi, i tempi, gli strumenti.
Significa chiedere innanzitutto la fine del sistema dei bonus e invece infrastrutture sociali, occupazione femminile, tutela dell’ambiente. Eliminare la precarietà del lavoro, rafforzare la rete dei servizi sanitari e sociali pubblici, ricostruire e trasformare il sostegno e l’assistenza per gli anziani, investire sulla scuola, accrescendo il numero degli insegnanti, delle classi, degli strumenti a disposizione dei ragazzi, avviare un grande progetto di manutenzione del nostro territorio e delle nostre città: in una parola, mettere al centro la vita e le persone.
Significa rileggere tutta la nostra società a partire dai bisogni e dalla libertà che le donne si sono conquistate e che hanno aumentato la libertà e il benessere di tutti.
Questo è il nostro recovery fund. Questo è per noi cominciare a prenderci cura.
Per questo le donne vogliono discutere del Next Generation EU. Vogliono che le risorse che oggi, finalmente, possono essere a disposizione delle donne e degli uomini che vivono in Europa vengano usate per combattere quelle fragilità e quelle ingiustizie. E di questo vogliamo chiedere conto alla politica. Ora, subito.
Le donne si stanno muovendo e se ci mettiamo insieme possiamo fare la differenza. Non vogliamo che quello che la pandemia ci ha rivelato e insegnato sulle ingiustizie della nostra vita, venga dimenticato, coperto dalla paura della crisi economica e dalla voce roboante dei potenti. Possiamo cambiare, segnare le scelte future che l’Italia deve compiere. Dobbiamo. Per questo ci dobbiamo essere e ci dobbiamo essere insieme. In tante, tantissime, oltre le nostre differenze.
Questo ci siamo dette nell’Assemblea della Magnolia, il 10 e 11 ottobre alla Casa internazionale delle donne di Roma, che ha visto la partecipazione di tantissime donne, pezzi del femminismo che da tempo non si incontravano, luoghi delle donne a livello nazionale, associazioni, donne delle istituzioni, dei partiti e del sindacato. Diverse ma insieme. E abbiamo condiviso non solo di promuovere una Rete femminista di donne, nazionale e anche transnazionale, ma anche di sviluppare connessioni e convergenze con donne insegnanti, migranti, operatrici dei servizi pubblici, ricercatrici, donne delle istituzioni e altre realtà di resistenza, che assumono il paradigma della cura per costruire pratiche di solidarietà e di costruzione di cittadinanza. L’obiettivo è una mobilitazione da far pesare ora, subito, con azioni concrete, simboliche, politiche, a partire dai territori ma anche attorno al luogo dove si decide e dove vogliamo esserci.
Cominciamo facendoci sentire! Organizziamo insieme, come primo appuntamento, una catena di donne attorno al Parlamento, insieme per dare forza alle nostre idee e alle nostre voci.
“Non c’è più tempo, noi siamo la cura!”