NO ALL’ORRORE DELLA GUERRA AL TERRORE
NO AI PATERNALISMI
SI ALLA CURA DELLA CONVIVENZA
“… Se vogliamo mettere un freno alle spirali di violenza … è importante chiedersi quale uso politico si possa fare dell’angoscia, ben oltre un mero grido di battaglia…” così Judith Butler nella prefazione di Vite Precarie.
Parole che tornano dense di significato di fronte alle immagini di angoscia e morte che arrivano da Kabul, a due settimane del ventennio dell’11 Settembre.
Ora più di allora i volti, i corpi delle afghane e degli afghani, in fuga o silenti, ci convocano e domandano la responsabilità di una risposta che non può esaurirsi nella propaganda dell’aiuto a chi ha lavorato con noi.
Non basta accogliere per riparare i guasti e gli errori compiuti nei vent’anni in cui l’Occidente ha perso una pace possibile.
Dobbiamo comprendere, mettere in questione la retorica propagandistica e affermare a voce alta che lo “scontro di civiltà”, incubo delle nostre paure e spettro rapace della globalizzazione, deve cedere il passo al sacrosanto ripudio della guerra e alla convivenza tra mondi diversi.
L’Afghanistan è il tragico specchio del nostro cinismo, dei torbidi inganni del paternalismo della cura che funziona solo con i cerchi concentrici del prima… la famiglia, la nazione, la democrazia, magari in formato da esportare.
Mai la comune umanità.
Per questo quel che accade nel paese ci convoca e insieme ci ricorda le morti del Mediterraneo, le torture in Libia, il gelo e le inferriate degli accampamenti nei Balcani, tutti teatro di efferate violenze sui corpi delle donne.
Adesso è il tempo di mettere la nostra libertà al servizio della libertà delle altre e fare in modo che l’accoglienza non sia un ghetto, i corridoi per chi vuole lasciare il paese siano effettivi e le iniziative umanitarie per chi vuole o deve restare siano trasparenti e efficaci.
E’ il tempo di chiedere al nostro paese e all’Europa di neutralizzare i dispositivi di espulsione e di esclusione e di declinare la cura nella dimensione globale in cui le nostre vite si intrecciano.
Questa è la lezione del Covid e questa è la responsabilità a cui l’Afghanistan e molti altri teatri di sofferenza ci chiamano. Continueremo a manifestare il nostro dissenso e le nostre idee per sottrarre la cura al bieco paternalismo del “prima noi” che esclude il resto, all’inganno del “prima gli affari” che marginalizza le vite e depreda l’ambiente.
Il femminismo della cura è l’attenzione all’altra e all’altro che va dall’io al noi e dal noi all’io.
Il nostro “primum vivere” è un costante agire per espellere ogni forma di violenza dalla politica.